Tutto il discutere di questi giorni in merito alla possibilità che la Gran Bretagna esca dalla Comunità Europea, mi sembra non tenere conto del fatto che, in realtà, essa non è altro che un cavallo di Troia di un gran numero di paradisi fiscali, innumerevoli isole in vari oceani e non ultima proprio la City che, proprio grazie al suo privilegiato sistema fiscale e legale (vedi qui), è uno stato nello stato.
Molta parte degli enormi capitali che si muovono sui mercati di Londra hanno stabilito lì il loro domicilio proprio in base a due considerazioni: il regime fiscale favorevole e il fatto di essere dentro la UE.
Allora bisogna che si faccia i conti con la realtà, la costruzione di una Europa coesa e armonizzata fiscalmente e legislativamente non è facile, è come una scalata impegnativa per i popoli e i politici che vorranno affrontarla, ma, se si può anche accettare un compagno simpatico e scansafatiche in una passeggiata al parco, non è prudente affrontare una scalata impegnativa con lui.
Quindi che si tratti della Grecia, o della Gran Bretagna, o dell’Italia, o della Spagna, o della Germania, o di chiunque altro, bisogna che sia chiaro che se i popoli e i politici che li rappresentano, non sono intimamente convinti della necessità di unire l’Europa, del fatto che ciascuno dovrà perdere qualcosa della sua sovranità e autonomia, per acquistare questa nuova patria comune e che il tempo delle furbizie è finito, sarà meglio tornare all’Europa delle piccole patrie e aspettare che un’altra guerra dia di nuovo la rincorsa a una generazione d’incorrotti idealisti per portare a termine quel che noi non abbiamo saputo concretizzare.
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