Nobile carne di cavallo

Negli USA, a livello federale, si annulla una decisione presa cinque anni addietro rispetto alla possibilità di macellazione e vendita di carne di cavallo vedi qui sul Corriere. L’articolo esordisce: “Il cavallo, uno dei simboli dell’America, finisce dalle praterie alla padella: gli Stati Uniti hanno infatti rimosso il divieto di consumo di carne equina che vigeva da cinque anni.” da questa frase sembra che ci fosse quindi un divieto esplicito al consumo di carne di cavallo. Più avanti invece: “Il Congresso ha dunque tolto il divieto di utilizzare i fondi federali per l’ispezione della carne di cavallo. Ciò significa che gli animali potranno presto essere macellati per ricavarne carne pronta per essere cucinata e servita a tavola.” ma questo non sembra un divieto di consumo, piuttosto un divieto di usufruire di fondi statali che quindi rendano economicamente concorrenziale tale carne. Insomma non è chiaro se esistesse in USA un divieto al consumo di tale carne o solo un non sussidio al suo consumo. Ma il bello ha da venire: “Nato come animale d’affezione o da competizione, il cavallo è simbolo di libertà, compagno dei vecchi cowboy, protagonista del grande e piccolo schermo.” è poco chiaro a quale “nascita del cavallo” si riferisca il giornalista. Forse al suo domesticamento nelle steppe dell’Asia? O al suo “ridomesticamento” da parte degli indiani d’America? In ogni caso non sembra credibile che i motivi di domesticamento siano quelli indicati. Forse l’autore è un creazionista e ritiene che qualche dio abbia creato i cavalli per far divertire gli scommettitori agli ippodromi, oppure per fare telefilm per ragazzi. Più avanti si torna al centro del problema: “Il divieto di uccidere l’animale per uso alimentare, era stato celebrato dagli zoofili come una vittoria contro quella che da sempre definiscono una barbara mattanza.” ma allora c’era proprio un divieto al consumo di carne di cavallo? Prosegue: “Ancora esiste però un ostacolo di tipo economico, perché prima di finire al macello, i cavalli devono essere ispezionati e ritenuti idonei. Un’operazione che comporta uno stanziamento di fondi apposito.” rimane il dubbio. Ma allora lo stato campione del liberismo mondiale, il luogo in cui tutto ciò che non è espressamente vietato è consentito è prigioniero del fatto che solo con esami statali la carne di cavallo può essere immessa al consumo? Ma sono più statalisti di noi! E che smettano di romperci i cabbasisi con le liberalizzazioni! Una nota che testimonia la separazione nel Corriere tra notizia e commento: “Se per gli animalisti, a ragione, è un boccone amaro da digerire, altri vedono aprirsi nuove opportunità economiche.” ecco quel “a ragione” sembra un poco partigiano, o sono io che da buon estimatore della carne di cavallo vedo ipocriti consumatori di bovini in ogni buco? Per fortuna la chiusa dell’articolo è chiarificatrice: “Anche se il Dipartimento dell’agricoltura ha assicurato che al momento negli Usa non esiste nessun impianto per la macellazione dei cavalli per il consumo umano, molti investitori sono già pronti a scommettere in questo business. In California e Illinois la macellazione è vietata per legge; in altri 12 stati vigono regolamenti severi sulla vendita al pubblico.” adesso si che ho capito come si pone la questione negli USA, questo articolo mi ha illuminato! O no?

La carne di cavallo è pure ispiratrice di poesie

È il brasato

Stretto al petto l’involto, sobbalzavo,

nell’autobus, passando i dissuasori,

altri intorno a me stanchi tornavano,

Alle pantofole! imploravano gli sguardi.

Io ripassavo gli ingredienti e se li avevo,

ma il fuso elastico e sodo mi pesava,

lo poggiai al fianco e mi confusi,

la tua natica salda mi parve di toccare

e lo riposi al petto, dunque, ripresi:

per questo brasato, rivisitato alla pugliese,

ecco il guanciale, di castrato da lavoro,

le spezie ci son tutte, anche gli aromi,

il Primitivo in luogo del Barolo…

ma, ecco il cavallo veniva dalla Puglia,

ma dall’enorme testa sembrava …

sì uno di quei giganti del Brabante,

forse meglio sarebbe una birra delle parti sue

una di quelle di lieviti selvatici o dolce…

Intanto mi era sceso l’involto al fianco

e di nuovo ero turbato da quel sentire

la tua natica soda e tenera e gommosa…

Basta! Or mi concentro e sento gli aromi

di questo brasato “in fieri”, no non ancora:

solo in programma. Eppur ecco li sento:

il garofano e la buccia dell’arancio amaro,

il ginepro e la salvia del Gargano

un pizzico di zenzero e del sedano,

carote, cipolle, scalogno e lampascione

poco prezzemolo e l’erba cipollina,

aglio ursino, una grattata d’iris (il rizoma).

No questo non c’entra, è l tuo profumo

che sempre ho nella testa e mi confonde,

ma seppure dovesse andare male,

se questo brasato dovesse mai bruciare

sarà con te una festa cenare a pane e olive

olive e pane.

Anche se non è la sola.

Ah le terrine!

Mi piacciono tutte,

solo cerco di rifiutare

quelle di fegato grasso,

per il modo in cui sono ottenuti

questi cirrotici fegati,

dalle incolpevoli oche

o dalle anatre mute,

inchiodate o ingabbiate,

a forza ingozzate

con tubo ed imbuto.

Ah le terrine!

Uscite dalla fresca cantina,

un velo di grasso rappreso

ricopre la carne pestata,

gli aromi salgono lenti,

quando la lingua la scalda,

m’inebria il ginepro,

percepisco l’alloro,

mi scalda il profumo del pepe,

mi eccita l’aglio violetto,

m’ottunde infin l’eugenolo,

e ancora sento profumi

di macchia e poi d’orto,

qualcosa… e poi sesso,

spensierato e un po’ porco.

Per chi fosse intenerito da cinghiali, lepri, anatre ed oche delle terrine della tradizione ecco un’alternativa interessante.

Terrina di nutria

Preparazione: 30 minuti

Cottura: 1h 15’

Ingredienti (per 4 persone):

– 1/2 kg di carne di nutria

– 300 g di pancetta di maiale
– fettine di lardo
– 1 uovo
– 1/2 bicchierino di cognac
– 1/2 cipolla

– 10 g di sale
– 4 g di pepe
– foglie di alloro

Disossare la nutria.

Passare in seguito al tritacarne le carni (nutria e pancetta). Aggiungere al macinato di carne gli altri ingredienti, mescolare bene. Foderare di lardo la terrina, aggiungere il macinato di carne, ricoprire di lardo la terrina. Chiudere la terrina e mettere al forno a 180°C (termostato 6) per 1:15. Lasciare raffreddarsi, mettere in frigorifero ed attendere possibilmente 2/3 giorni prima di gustare la terrina. Può realizzarsi anche con lepre o coniglio.

Buon appetito!

Pesche tabacchiere (o saturnine) e igiene.

Ho letto un post di D. Bressanini sul suo blog, sempre interessante, anche se non sempre condivisibile,  sull’utilità di lavarsi le mani.

Peccato che, oltre a coltivare i batteri presenti prima sulle mani sporche del figlio e poi sulle mani lavate, abbia pensato di coltivare i batteri presenti su una pesca “tabacchiera” (localmente nota anche come “saturnina” di quelle cioè senza nocciolo) il risultato, lavata sotto acqua corrente o non lavata, a suo dire, non cambiava in modo significativo

Le pesche di quella varietà sono “pelose” e praticamente sono formate da due invaginazioni ai poli intorno a cui la polpa forma un “toro” alquanto irregolare, per lavare con qualche apprezzabile risultato tali pesche credo sia necessario munirsi di spazzolino e pazienza, in ogni caso penetrare fino all’attacco del picciolo e al polo opposto presenta difficoltà notevoli, sarebbe necessario addirittura utilizzare uno spazzolino interdendentale.

Proprio a causa della loro forma queste pesche scoraggiano chi voglia sbucciarle, perchè normalmente non ci si presenta a tavola armati di un bisturi, a peggiorare la situazione l’abitudine invalsa di raccogliere, e porre in vendita, frutta talmente acerba da essere indisponibile alla maturazione casalinga prima del decadimento organolettico, cosicché non è assolutamente più possibile sbucciare le pesche come un tempo, con poche semplici mosse, bisogna tagliare via la buccia dalla pesca, brano, brano.

A questo punto vedendo le foto pubblicate sul post un lettore medio non avrebbe che due alternative logiche: smettere di mangiare codeste pesche o giungere alla conclusione che sia inutile lavarsi le mani, stante i risultati simili della pesca lavata e delle mani sporche.

La Lisca ristorante in Milano (recensione)

Il locale si presenta con un’aspetto modernamente invitante per una cena tra amici, ma meglio portarsi caschi da moto con interfono, il rumore delle conversazioni che si intrecciano nell’ampio locale, con ammezzato a vista, non ammette conversazioni a più di trenta centimetri di distanza, quindi meglio andarci in coppia affiatata per parlarsi nelle orecchie.

Il servizio è cortesemente amichevole, offrono il liquore dopo il conto, anche se bisogna essere ostinati per aspettarlo.

Appena seduti portano un piattino ogni due persone con due cucchiaiate di cus-cus con qualche pomodorino e propongono un bicchiere di prosecco. Rinunciare al cus-cus non costa niente, salvo il pomodorino è insapore.

Ottimi gli spiedini di polpo.

Buone le zuppe con pomodorini freschi, anche se non molto varie le specie nella fondina.

Eccellenti le cozze dell’impepata.

Dimenticabile il carpaccio di ricciola alla menta.

Buona la dadolata di tonno e melanzane (forse fin troppo delicata, ma va a gusti)

Non male il fisch and chips salvo che le patatine a fiammifero prima erano brune, amarognole e molli, poi mi sono state portate dorate, ma ancora molli, perché non farle tradizionali, visto che a fiammifero sono così difficili?

Il prezzo per due persone, per due piatti a testa, caffè, acqua e una bottiglia di vino è stato di 80€.

Il vino generalmente costa tra 16 e 18€ a bottiglia, Pigato e Grillo erano dignitosi.

Lidl, hamburger tossiche e Corriere

Qui  il Corriere riferisce, con articolo datato 16 Giugno 2011, che  “«La posizione di Lidl è chiara: per precauzione abbiamo ritirato dalla vendita la carne incriminata e abbiamo proceduto al ritiro dei prodotti con data di scadenza 10, 11 e 12 maggio 2012» allora non ci sono che tre interpretazioni:

1) Il Corriere ci vende come notizie nuove notizie di oltre un mese fa,

2) La Lidl vende aveva sugli scaffali in vendita merce scaduta,

3) Il Corriere e/o la Ldl non si sono accorti che siamo in giugno oppure non sanno la differenza tra data di scadenza e data di produzione.

Spero che a mancare di professionalità sia il Corriere, ma se non fosse così dovrei munirmi di un monocolo da orefice per riuscire a rintracciare le date sulle confezioni e di un manuale per decodificare codeste date di scadenza e di produzione, scritte a volte con codici che si riferiscono alla settimana dell’anno o con abbreviazioni degne della Spectre, oppure incise a caldo in modo che, per leggerle, è necessario porle in posizione tale che la luce sia tangente alle stesse.

Sempre più difficile la vita per i crudisti, ma anche per gli amanti della carne al sangue e delle verdure scottate.

Lanzarote recensione di un’isola.

Una settimana su quest’isola merita certamente di essere passata, se amate le forti emozioni della roccia nuda potete andarci ad esempio in Ottobre, come ho fatto io, il clima era piacevole, anche se ho incontrato una forte perturbazione, che ha fatto disastri a Tenerife e in Spagna, ma ha solo sfiorato Lanzarote, così ho avuto soltanto un cielo a tratti corruscato per qualche giorno e qualche spruzzo di pioggia, anche se il mare faceva paura sulle scogliere esposte a i venti di NordOvest.

Se non siete dei forti ciclisti è meglio noleggiare un’auto, in quanto alcune salite sono piuttosto impegnative e il trasporto pubblico non mi è sembrato frequente e diffuso capillarmente sul territorio, in cambio le strade sono quasi sempre ampie e ben tenute.

Certo che, appena arrivato, uscito dall’autostrada seguendo le indicazioni per San Bartolomè deove avevo prenotato l’albrgo ho visto questo paesaggio:e non sono rimasto entusiasta, sembrava di essere alla estrema periferia di una discarica.

Poi per fortuna  ho visto panorami migliori ma quando sono arrivato all’hotel consigliatomi da un amico:

Di fronte aveva questo giardino pubblico, che da un’altra prospettiva non era meglio:

Mi sono detto: “Ormai ho pagato, entro!” e per fortuna la situazione sembra meglio:

Scusate le giunte si tratta di un collage casalingo, ma il posto sembra suggesitvo, la spianata di roccia nera e terra serviva e forse serve ancora per raccogliere l’acqua piovana che viene raccolta in una cisterna sotterranea, il casottino al centro della foto conteneva un lavatoio e un pozzo.

Si va a vedere le camere: al piano terreno un picolo soggiorno con una scala e un bagno, sopra una spaziosa camera da letto, il tutto sembra abbastanza pulito, il letto è grande e solido (ricordo i lettini a Tenerife all’hotel Coral che erano quelle reti pieghevoli che si tengono in cantina per quando arrivano ospiti inattesi e non graditi) di primo acchito è quello che noto, va bene!

In poco tempo però ci siamo resi conto che la camera aveva gravi handicap:

– la scaletta era ripidissima, alzarsi a pisciare la notte era rischioso, meglio bere poco la sera,

– la finestra, che si apriva dal livello del pavimento fino a 1,6 m, era priva di tende e di persiana, per cui si era completamente esposti alla vista di chi transitava lungo la strada,

– il bagno aveva la finestra completamente bloccata e incrostata di muffa e non c’era un aspiratore,

– la finestra del salottino si poteva aprire solo con grosso sforzo e a rischio di romperla ogni volta e comunque era anch’essa senza tenda né persiana,

insomma questa storia degli hotel de charme comincia a sembrarmi una grande presa per i fondelli, (qualcosa di simile mi era successo in Aprile a Budoni in Sardegna, pizzi e merletti dovunque, tinte pastello mobili in legno, antichi o antichizzati e neppure un balconcino, neppure una poltroncina o una sdraio, o stai a letto o stai fuori) oltretutto di notte ha piovuto e le sedie nel cortile sono tutte zuppe, per soprammercato anche il patio serve solo per fare ombra non tiene la pioggia e anche le sedie al “coperto” sono zuppe.

Ma lasciamo la descrizione del Caserìo de Mozaga e dei suoi malanni a un post specifico e torniamo all’isola nel complesso, essa mostra aspetti estremamente diversificati ci sono zone con grandi alberghi da centinaia di stanze e spiagge con lungomare attrezzato e zone in cui vivono solo i locali con chilometri di bassi scogli che si estendono in profondità per centinaia di metri intervallati da tratti sabbiosi in cui sono costruiti recinti di sassi dentro ai quali stendere gli asciugamani per prendere il sole nonostante il vento, ci sono meraviglie naturalistiche come il Parque Nacional de Tamanfaya perfettamente organizzate e attrezzate, musei e casemuseo, il Monumento al Campesiño e la Fondazione C. Manrique sono tra questi che sono tenuti con attenzione e rigore, dovunque il comfort dei visitatori non è mai dimenticato se non c’è un bar con ristorante è perchè ce ne sono due, se non trovate un bagno è perché siete tra due bagni e sono così ben tenuti che vedendo le insegne avete pensato fossero opere d’arte e basta:

come alla fondazione C. Manrique, oppure come al Jardin de Cactus:

Se intendete trascorrere una settimana in quest’isola affascinante fate il biglietto cumulativo a tutti i musei, a meno che la vostra non sia una vacanza essenzialmente di mare, conviene senz’altro, anche se non visiterete tutto.

Qualche informazione sul cibo:

– se non siete molto tolleranti nei riguardi dell’aglio forse fareste bene a dire, appena seduti a tavola, che siete allergici a tale vegetale, molti piatti ne contengono dosi massicce, alcuni mojo, che sono le salse che portano appena vi sedete e accompagnano gran parte dei piatti, sono praticamente aglio in diversi colori (bianco, con yoghurt, verde, con coriandolo fresco e/o prezzemolo, rosso, con peperoni, qualche volta si trova anche quello verde chiaro che è con avocado, in pratica molto simile al guacamole messicano),

– se siete vegetariani rassegnatevi a una dieta a base di patate (“papas arrugadas”, cioè piccole patate cotte con la buccia in poca acqua e asciugate sul fuoco, sì che si fanno rugose), in una settimana, di diverso da esse sono riuscito a mangiare soltanto un gazpacho di peperoni (in un ristorante di super lusso) e delle melanzane l’ultimo giorno, no mi sbaglio, dimenticavo qualche pomodoro crudo che però aveva sempre un sentore di muffa,

– se siete un po’ schizzinosi non prendete il “caldo millo”, è una buona zuppa di cereali e legumi, con pezzi di carne e molti pezzi di cotenna tagliati grossi,

– non ha controindicazioni invece il “caldo canario” identico a un riso e lenticchie nostrano,

– le patelle invece,

sono solo per appassionati del genere, molto gommose e spesso troppo salate,

– il polpo è spesso il piatto d’elezione tanto per spuntini quanto come piatto forte, sia freddo, sia caldo, in insalata con i peperoni e le cipolle, o cotto con salsa di pomodoro, o infarinato e fritto,

– interessanti sia il capretto sia l’agnello, spesso sono accompagnati da qualche verdura stufata, peperoni e cipolle di solito,

– anche il filetto di manzo mangiato da Stratus, nella valle della Gerìa, era eccellente si scioglieva in bocca, (Stratus è un buon ristorante, se non vi disturba mangiare con la cameriera che vi porta il pane un bocconcino alla volta e il cameriere che vi guarda nel cervello, cercando di cogliere i vostri desideri prima che voi vi accorgiate di averli, ma forse era così perchè eravamo solo sei clienti, utile, se bevete poco la possibilità di avere vari vini al calice, alcuni erano veramente pregevoli),

– la cosa che mi è parsa strana è stato l’orario che vari ristoranti seguivano presentandoci in un ristorante alle 20 ci hanno risposto che la cucina era già chiusa e conoscendo gli orari spagnoli siamo rimasti basiti poi, “aperto dalle 13 alle 17” ho visto scritto in vari posti, una sera proprio a causa di questi orari balzani, ho finito col mangiare biscotti, visto che nelle vicinanze era tutto chiuso, quindi “statev’accuorti”,

– se non conoscete già l’isola di Fuerteventura, almeno una gita giornaliera potete farla, ne vale la pena, naturalmente portatevi l’auto, meglio dirlo subito al momento del noleggio che volete fare tale gita, pagherete un piccolo extra, ma sarete assicurati, altrimenti l’assicurazione vale solo su Lanzarote, potrete fare una passeggiata in un vero deserto tipo Sahara, anche se piccino, ma senza paura di perdervi, poi potrete apprezzare, oltre ai sui bei panorami, anche qui ci sono punti panoramici attrezzati (Mirador), la fortuna che avete avuto a scegliere Lanzarote per la vostra vacanza, invece di Fuerteventura, visto come è spersonalizzata quest’isola dal turismo di massa, dai centri commerciali e dai campi di golf.

Ho centinaia di foto che pubblicherò su Flicr, ma vi suggerisco di scoprire l’isola da soli con curiosità e pazienza, merita!

Lampedusa recensione di un’isola

Lampedusa: un’isola divisa in due.
Un breve soggiorno a Lampedusa in settembre 2008 mi ha fatto scoprire un mare molto bello, caldo e facilmente fruibile, anche da bambini e anziani, per merito delle sue numerose spiaggette.

La cosa che invece mi ha stupito e non sono riuscito a capire è la divisione netta degli esercenti e commercianti in due categorie ligi ed evasori: tutti i gelatai, i baristi e gli altri commercianti al minuto mi hanno rilasciato scontrini fiscali mentre tutti i ristoratori e l’unico gestore del villaggio con cui ho avuto a che fare mi hanno fatto ricevute farlocche, solo il terribile scirocco che, mantenendo la temperatura intorno ai 40 gradi e l’umidità sopra l’80%, mi ha tolto le forze mi ha impedito di presentare queste ricevute alla guardia di finanza onde facesse gli accertamenti del caso.
Lampedusa: un’isola di persone gentili.
In tutta la mia permanenza sull’isola, una settimana, non ricordo che una o due persone meno che cortesi o addirittura cordiali.
Lampedusa: recensione di tre ristoranti.
La trattoria del porto: (ha una bella terrazzina sul tetto con vista sul porto) su esplicita richiesta, dopo un “pizzino”, mi ha portato uno scontrino fiscale al termine di una cena la cui grande tavolata di antipasti di pesce era tutta da dimenticare; non voglio tediarvi con l’esame di tutti gli undici antipasti che ho provato e di cui il solo tonno salato sott’olio era degno di essere terminato, non grande il merito, forse, in quanto ho la netta impressione che lo acquistassero il barattolo,ma non avendone le prove lascio adito al dubbio. All’antipasto seguì un cous cous di cernia con la semola giustamente sgranata, ben condita e molto piacevolmente aromatica, la cernia era un poco meno gustosa e le verdure alquanto scipite.

Le porzioni sono state abbondanti e il prezzo, per due persone, senza vino, 40 euro.
La trattoria Pugliese: (un poco fuori dal paese, a fianco dell’aeroporto, quando decollano gli aerei si sentono i fumi di scarico, per fortuna non c’è un continuo viavai) pare sia il ristorante preferito dagli isolani e da molti turisti, la capocameriera, forse non è sempre di cattivo umore e scostante come la sera in cui sono andato io, altrimenti può essere motivo sufficiente per mangiare pane e panelle in centro paese, una seconda cameriera cerca di sfilarti il piatto da sotto le posate non appena ti distrai e il terzo simpaticamente tamarro fa ambiente; l’antipasto di pesce, pur piccino, era di ottima fattura, così pure le linguine con ragù di ricciola e deliziose le “caramelle”, ripiene di non ricordo quale pesce, condite con pomodoro e ricotta (deliziosa) purtroppo negativo il giudizio sui calamari fritti (nonostante fosse stagione) in quanto l’infarinatura, sabbiosa, si staccava dal calamaro dando una sensazione di fastidio; il prezzo di quanto descritto, per due persone,  senza vino fu di 55 euro.
Il ristorante La Roccia: (fuori paese, all’interno del camping e villaggio omonimo, con intorno alcuni dei pochi alberi dell’isola) il ristorante avrebbe una terrazza panoramica,che preferiscono però lasciare alle sdraio, i pasti vengono serviti perciò sotto una tettoia, ad alcune decine di metri dal bordo della terrazza, senz’altro la posizione è più riparata e i camerieri fanno meno strada, ma al tramonto non si vede il mare, né più tardi la luna; nonostante la giovane età dello chef (Vincenzo di Palma, 23 anni) i piatti che ho provato sono stati impeccabili, dagli antipasti terra-mare (con ottimi calamari ripieni e squisita ricciola affumicata ad es.), alle orecchiette con ragù di ricciola, non entusiasmante solo il risotto gamberetti e more di gelso, anche la disponibilità dello chef a soddisfare richieste del cliente fuori dalla carta è da segnalare, anche qui la cameriera è un poco balzana, passa da una cordialità fin esagerata dalla prima volta che la si vede a una asciuttezza inspiegabile…

Il prezzo per due persone, senza vino, fu di una cinquantina di euro di media, ma non prendemmo mai tutte le portate, la temperatura “invitava” a restare leggeri.
Lampedusa: l’unico campeggio.


Il Camping e villaggio La Roccia: ha il pregio di avere alcuni dei pochi alberi presenti nell’isola, solo nel Vallone dell’Acqua ne troverete di più, e di avere accesso a una piccolissima spiaggia (circa 4 m) che dà su una cala (Cala Greca) da cui facilmente si raggiungono a nuoto altre belle cale adiacenti, purtroppo, con la scusa che la spiaggia non è loro, la direzione del campeggio non si occupa di farla ripulire al mattino da cartacce e da quant’altro nella notte il mare ha depositato, stante le sue dimensioni non sarebbe lavoro di più di dieci minuti.

Le sistemazioni disponibili nel villaggio sono:

– “dammuso”: non credeteci, non hanno niente a che vedere con i veri dammusi di Pantelleria, le pareti sono un quinto o un decimo, di conseguenza la temperatura all’interno è superiore a quella esterna, noi abbiamo sempre dormito nudi, con la ventola al massimo, il sogno ricorrente era di essere sulla pista di un aereoporto inseguiti da un aereo in decollo;

– casette in legno marrone scuro: un poco più caldi dei “dammusi” (ho visto vari ospiti dormire fuori);

– roulotte: sono vecchiotte e l’ombra non è fittissima, fate voi;

    Inoltre: all’interno del “dammuso” per 3 persone che abbiamo preso noi nonostante fossimo in due (sapevamo delle dimensioni ridotte) l’armadio per i vestiti era una specie di libreria senza ante, di non facile accesso, oltre a questa l’arredamento era costituito da un ripiano per la valigia, (attenzione inoltre se siete un po’ in carne non passerete tra la doccia e il lavabo quindi non avrete accesso al wc).

    All’interno del campeggio è presente un mini-market (che dà sempre gli scontrini fiscali) con l’indispensabile e appena fuori un noleggiatore di auto, moto e quad.

    Anche nel campeggio, come nel ristorante annesso, non danno ricevute fiscali: avrei dovuto passare quando ci fosse stato il direttore visto che gli altri impiegati sono autorizzati a incassare, ma non a rilasciare tali ricevute.

    Menù d’amore

    Menù d’amore

    di

    Bernardo d’Aleppo

    Tutti i diritti sono riservati

    Copyright Bernardo d’Aleppo

    Milano Marzo 2008


    Antipasto: La serenità di Pantelleria

    Sopra un terrazzo,

    dei mille che a Martingana fanno scala al Libeccio,

    sta una vigna antica, pure di piccole viti,

    quando i chicchi sono capezzoli duri d’amore e vizzi,

    ne cavo un mosto che cuocendo restringo,

    indi semi pestati di senape bianca

    e aceto di marsala ancora, poco, vi faccio sobbollire,

    correggo di sale e spengo.

    Quando tu mi dai pensieri anti del pasto,

    sul crostino ti pongo: lardo salato e questa senape dolce,

    tu non lo sai, ma penso a quei capezzoli di vite,

    che ho avuto per le mani e ho stretti,

    mentre quel miele acre mi sale le nari e il lardo si scioglie,

    colgo l’agro, ma poi mi resta il dolce,

    così, rasserenato, anche i tuoi umori quieto.


    Primo: L’Inganno

    Sbucciate le patate bollenti

    Le passo e aspetto

    Il tempo che dallo sfiorarti

    Si passi al bacio e oltre,

    Che da una carezza sul collo

    Si scenda al fianco,

    Si salga alla nuca,

    Ci si perda tra i capelli,

    Quando gli umori scesi

    Si sono ormai rappresi,

    E’ tempo di cominciare ancora,

    Poi quando la tenerezza

    Di nuovo nell’oblio sconfina

    E il primo stordimento

    Già svapora, ci giungo la farina

    E ben la impasto,

    Che tenera si fa con la purea

    Questa massa tenerosa

    Quanto mi aggrada,

    Come il tuo sen mi cede

    Quando ti prendo a pecora

    E ti piloto attento tra i dirupi,

    Qui franare può l’orgasmo mio,

    Là forse potrebbe il tuo,

    Così quando lo gnocco

    Cede alla lingua sul palato,

    Ripenso al nostro sesso

    E se burro e tartufo

    L’hanno accompagnato

    Basta chiudere gli occhi

    E quasi il membro cade nell’inganno.


    Secondo: Il brasato

    Stretto al petto l’involto, sobbalzavo,

    nell’autobus, passando i dissuasori,

    altri intorno a me stanchi tornavano,

    Alle pantofole! imploravano gli sguardi.

    Io ripassavo gli ingredienti e se li avevo,

    ma il fuso elastico e sodo mi pesava,

    lo poggiai al fianco e mi confusi,

    la tua natica salda mi parve di toccare

    e lo riposi al petto, dunque, ripresi:

    per questo brasato, rivisitato alla pugliese,

    ecco il guanciale, di castrato da lavoro,

    le spezie c’eran tutte, anche gli aromi,

    il Primitivo in luogo del Barolo…

    ma, ecco il cavallo veniva dalla Puglia,

    ma dall’enorme testa sembrava …

    sì uno di quei giganti del Brabante,

    forse meglio sarebbe una birra delle parti sue

    una di quelle di lieviti selvatici o dolce…

    Intanto mi era sceso l’involto al fianco

    e di nuovo ero turbato da quel sentire

    la tua natica soda e tenera e gommosa…

    Basta! Or mi concentro e sento gli aromi

    di questo brasato “in fieri”, no non ancora:

    solo in programma. Eppur ecco li sento:

    il garofano e la buccia dell’arancio amaro,

    il ginepro e la salvia del Gargano

    un pizzico di zenzero e del sedano,

    carote, cipolle, scalogno e lampascione

    poco prezzemolo e l’erba cipollina,

    aglio ursino, una grattata d’iris (il rizoma).

    No questo non c’entra, è l tuo profumo

    che sempre ho nella testa e mi confonde,

    ma seppure dovesse andare male,

    se questo brasato dovesse mai bruciare

    sarà con te una festa cenare a pane e olive

    olive e pane.


    Contorno: L’arcobaleno

    Voglio mettere allegria su questa tavola,

    vederti le rughe del sorriso

    scavarsi intorno agli occhi,

    così ti faccio un’insalata

    di gambi di sedano e finocchi,

    di carote e di sedano rapa,

    di gambi di prezzemolo e lamponi,

    di pomodorini secchi, pochi,

    di rapanelli e di limoni dolci,

    di fiori di borragine e acetosa.

    Dopo lo so sarai ritrosa,

    terrai la bocca chiusa, tesa,

    avrai paura di mostrare cosa?

    Il sorriso guarnito di colori?

    Ma: Quitame el pan si quieres

    quitame el aire, pero no me quites tu risa.

    Tanto implorava Neruda, così fò io.


    Formaggio: Crema da grissino

    Voglio copiare il colore

    dei tuoi capezzoli rosa,

    ma, essi rosa non sono,

    davvero allor mi cimento

    acconcio un fondo, la biacca

    sarà ricotta, non grassa,

    quella, un po’ granulosa,

    yoghurt, per stenderla bene,

    paprica dolce e piccante,

    diversi i toni di rosa,

    un poco di zafferano,

    cumino in polvere, ora,

    poi lavoro, a cucchiaio,

    ecco il color mi sovviene,

    l’assaggio, manca di sale

    confronto l’originale,

    aggiungo e aggiusto di poco,

    mi pongo ancora al confronto

    non son soddisfatto, cos’è?

    E’ un’ombra, un afrore

    sottile, che dalle ascelle

    travalica il deodorante,

    non mi azzardo, a dir che sia.

    Ne taglio appena un filetto

    colo di linfa una stilla.

    Ecco l’inganno è completo.

    Torneremo bimbi al seno.

    Milano 3 e 4 marzo 2008