Martone, gli sfigati e i fighetti

Che normalmente, se non si lavora al contempo o non si hanno gravi handicap, sia giusto laurearsi entro un anno o al massimo due dal termine del corso di laurea, mi sembra sia opinione condivisibile e ragionevole.
Si può dire che chi ci mette di più è generalmente uno “sfigato”?
Credo che sia ragionevole rispondere sì, nella stessa misura in cui si potrebbe, altrettanto ragiovevolmente e condivisibilmente dire che chi si laurea perfettamente entro i termini è, generalmente, un “fighetto” in quanto, avendo solo studiato, senza aver vissuto (amori, infortuni, delusioni, entusiasmi..), fino alla laurea, difficilmente avrà maturato la maturità necessaria a evitare di parlare inutilmente, improvvidamente, incautamente, come ha chiaramente dimostrato il sottosegretario Martone nella sua recente esternazione.

La volgarità della pruderie

Qui potete vedere delle fotografie che non hanno niente di eccezionale, ma sono indicative di quella che mi viene solo da definire “pruderie”  (il dizionario Hoepli la definisce “Castigatezza affettata, moralismo esteriore e formale”).
Il corriere.it non è solo in questa ricerca di click, repubblica.it e tanti altri non sono da meno, i campioni della “pruderie” naturalmente sono altri, ma talmente screditati che non provo neppure a leggerli.
Non so se altri condividono il mio senso di fastidio, mi sembra meno volgare un onesto sito porno, piuttosto che questo ammiccare per un capezzolo che si affaccia da una scollatura, forse la pattinatrice voleva “guadagnare punti” con una scollatura non proprio adatta a delle acrobazie, ma pensare che qualcuno possa, di lavoro, fare il ricercatore di immagini del genere per farne una fotonotizia, mi sembra veramente avvilente, ecco forse il mio disagio sta proprio qui, nella volgarità di questo lavoro. Mi dispiace infinitamente per coloro che devono guadagnarsi uno stipendio in questo modo, certo è meno rischioso che prostituirsi per strada, ma deve essere altrettanto avvilente.

Taxisti ansiogeni? Andiamo a piedi!

Qui Maria Laura Rodotà si lamenta dell’ansiogenicità del tragitto con il taxi, mi viene in mente leggendolo che ha proprio ragione. Non avevo pensato alle cause per cui, da qualche anno, in occasione di viaggi aerei preferivo lasciare l’auto alle intemperie nel parcheggio dell’aereoporto piuttosto che chiamare un taxi e ora focalizzo che un tragitto in auto, di primo mattino, con un autista incarognito e polemico è proprio come una promessa di viaggio sgradevole.

Anni fa, avevo una piede ingessato, ricordo di avere conosciuto autisti con cui fare due chiacchiere era anche un piacere, non solo una questione di educazione, ricordo che con uno si scese anche a farci una birra.

Ora è meglio avere le cuffie e mettersi a leggere, altrimenti, come rileva giustamente M. L. Rodotà si finisce col rischiare di dover assentire ad affermazioni con cui il disaccordo sarebbe totale, quel che è bello poi è che, in più d’una occasione, il tassista mi ha chiesto indicazioni sul percorso e poi non le ha seguite, preferendo seguire il navigatore che non era aggiornato sui lavori in corso e alla fine ho dovuto comunque indicargli io la via.

Alla fine un tragitto in taxi, che dovrebbe permetterci di rilassarci un momento con due chiacchiere neutre o magari concentrarci sull’impegno che ci aspetta, diventa invece un momento di stress in cui guardiamo preoccupati la strada e gli incroci, tenendoci alla maniglia, spiando tra i movimenti del silenzioso autista i segni rivelatori di un’imminente attacco di follia omicida, oppure cerchiamo di assentire convintamente alle affermazioni discutibili che fà l’autista, comunicativo e iracondo, guardandoci torvo nello specchietto.

Alla fine meglio camminare, uscendo un’ora prima, di buon passo, arriviamo quasi dovunque in città e facciamo quel po’ di moto che ci evita di dover sentire stupidaggini in palestra, certo: okkio ai motociclisti, ieri uno ha ucciso Anghelopoulos e non dimentichiamo i ciclisti, che spesso prendono possesso dei marciapiedi come cosa loro e, naturalmente, hanno fretta, probabilmente sono tra i più frettolosi tra i cittadini delle metropoli, anche loro poi sono così spesso incazzati…

Lo sport scuola di vita? Ad es. Balotelli esempio di fair play. Ippica e Olimpiadi

Qui si vede Balotelli che sembra dare un calcio in testa a un avversario a terra, chissà se le cose stanno così o se stava cadendo e lo ha fatto senza vederlo.

Il problema mi sembra comunque ininfluente, gli esempi di atleti che ricorrono a tutto pur di raggiungere il risultato di arricchirsi sono innumerevoli, così tanto, che il fatto che uno di loro rifiuti di vendere una partita, automaticamente, lo promuove a star del calcio mondiale, ma non colpevolizziamo solo il calcio, anche quasi tutti gli altri sport sono colpiti da scandali di incontri truccati, doping, ecc. anche il tanto osannato rugby non è esente dalla sua dose.

Insomma lo sport sempre di più scuola di vita e di comportamento corretto? Ma chi vogliamo prendere in giro?

Finalmente finiranno, forse, le corse di cavalli, campo in cui l’unico incolpevole era il cavallo.
La scusa che per giocarsi dei soldi e avere quel po’ di adrenalina in circolo per qualche minuto, ci fosse bisogno dei cavalli, della loro eleganza, della liturgia che ne accompagna le corse e dei fantini (a fornire il lato diabolico, o santifico?) pare che non regga più e i finanziamenti dello stato, che fin’ora tenevano in piedi il baraccone pare non bastino più, a fronte delle decine di altri modi di scatenare l’adreanalina dei giocatori il TOTIP non incassa che le briciole.
Allora? Porteremo il lutto? Chissenefrega!
Forse le corse di cavalli erano la scusa per qualche giocatore di sentirsi un “nobile sportivo”, anche se magari era in sala corse, anziché un “tossico da video-poker” in tabaccheria.
Olimpiadi: qui sul Corriere, Gianni Petrucci dice che Monti dovrebbe firmare per chiedere le Olimpiadi a Roma nel 2020, l’articolo è da leggere per intero, e anche alcuni dei commenti dei letori sono interessanti, mi sembra che tra il pubblico del Corriere cominci a svilupparsi un senso critico che mi stupisce piacevolmente.
Alcuni lettori fanno rilevare le motivazioni quasi mafiose per cui Monti dovrebbe chiedere le Olimpiadi: pare che nel CIO ci siano 5 italiani “in questo momento l’Italia, unica al mondo, ha 5 membri del Cio: Carraro, presidente della commissione del programma olimpico; Pescante, numero 2 del Cio; Cinquanta, presidente del Ghiaccio mondiale, che ha un’Olimpiade sua, quella invernale; Ricci Bitti, presidente del tennis mondiale; Manuela Di Centa, una delle atlete più popolari al mondo. Più Raffaele Pagnozzi, segretario dei Comitati olimpici europei.” Quindi la morale è se non ora quando?
Il fatto che una cosa sia possibile non la rende automaticamente auspicabile, i personaggi citati sono, in buona parte, sopravvissuti a tutti gli scandali della prima e della seconda repubblica, pur essendo stati almeno sfiorati da gran parte di essi, la gestione delle Olimpiadi Invernali in Piemonte non mi sembra sia stata un affare per le casse di Stato, Regione e Comuni coinvolti, parimenti anche altre olimpiadi estive si sono rivelate conomicamente un flop per molte nazioni negli ultimi decenni, hanno lasciato spesso grandi impianti da dismettere alle prossime generazioni, cioè debiti travestiti da strutture e infrastrutture inutili, insieme ai titoli di stato, emessi per pagarne le costruzione, da remunerare e rimborsare a scadenza.
In questo momento secondo Gianni Petrucci sarebbe un affare? Per chi oltre ai  citati personaggi? Per cementifici e cave, per banche e costruttori, per discariche e mafie, questi di sicuro, ma gli altri?
Dice G. Petrucci che “Oggi il Cio premia le nazioni che investono di meno, più sobrie: noi spenderemmo 4 miliardi e 800 milioni che con i ritorni erariali andrebbero quasi a costo zero.”
Mi piacerebbe che portasse qualche esempio di grande evento che sia riuscito in Italia a concludersi senza un gran dispendio di danaro pubblico, di solito almeno il doppio di quanto preventivato, senza considerare i costi scaricati sulle prossime generazioni con le strutture da demolire e l’ambiente da ripristinare.
Ma Petrucci : “Vada a scopare il mare!”
Smettiamola di finanziare gare e competizioni, diamo spazi e occasioni ai bambini e ai ragazzi per fare sport per divertimento e socializzazione, basta premiare i risultati comunque ottenuti, premiamo il piacere di muoversi di fare sport e di giocare, non altro, smettiamola di allevare futuri dopati!

Olimpiadi a Roma? Certo alla Grecia hanno portato bene!

La domanda dal punto di vista economico mi sembra solo questa:
-abbiamo ancora bisogno di altri impianti sportivi che, dopo essere stati utilizzati un mese vadano pian piano in malora costituendo solo una spesa per la comunità che anni dopo dovrà smantellarli?

La storia delle ultime olimpiadi invernali in Italia mi sembra ci dica proprio questo, spreco di soldi e debiti per le prossime generazioni.

Parlando invece dal punto di vista morale: credo che le olimpiadi siano ingiustificabili, lo stato concede premi in danaro e onoreficenze a chi vince medaglie (che poi, se ci sa fare con gossip e amori, si arricchisce con pubblicità, interviste ecc.) mentre taglia finanziamenti allo sport di base quello che aiuterebbe tanti bambini a crescere meglio, ho volutamente trascurato il tema del doping, parlarne a proposito di competizioni internazionali sarebbe come sparare sulla croce rossa, visto che è diffuso, anche a livello amatoriale, in tutti gli sport competitivi.

Ho visto recentemente delle magliette con questa scritta:
“No alle Olimpiadi! Lo sport si fa per piacere non per mestiere. CONI? No grazie.”
Mi sembra dovrebbe riassumere tutta la filosofia dei veri sportivi di questo millennio, non basta opporsi ad una economia predatoria, basata su una finanza autoreferenziale che inventa “capitali” senza beni che gli corrispondano, bisogna anche rifondare lo sport, azzerandone il valore di spettacolo, ignorare il risultato agonistico e di competizione, valutandone invece solo il valore ludico.
Per ora sono poche le realtà organizzate che si muovono in questa direzione, ma sono comunque un segnale che fa ben sperare.