Pesche tabacchiere (o saturnine) e igiene.

Ho letto un post di D. Bressanini sul suo blog, sempre interessante, anche se non sempre condivisibile,  sull’utilità di lavarsi le mani.

Peccato che, oltre a coltivare i batteri presenti prima sulle mani sporche del figlio e poi sulle mani lavate, abbia pensato di coltivare i batteri presenti su una pesca “tabacchiera” (localmente nota anche come “saturnina” di quelle cioè senza nocciolo) il risultato, lavata sotto acqua corrente o non lavata, a suo dire, non cambiava in modo significativo

Le pesche di quella varietà sono “pelose” e praticamente sono formate da due invaginazioni ai poli intorno a cui la polpa forma un “toro” alquanto irregolare, per lavare con qualche apprezzabile risultato tali pesche credo sia necessario munirsi di spazzolino e pazienza, in ogni caso penetrare fino all’attacco del picciolo e al polo opposto presenta difficoltà notevoli, sarebbe necessario addirittura utilizzare uno spazzolino interdendentale.

Proprio a causa della loro forma queste pesche scoraggiano chi voglia sbucciarle, perchè normalmente non ci si presenta a tavola armati di un bisturi, a peggiorare la situazione l’abitudine invalsa di raccogliere, e porre in vendita, frutta talmente acerba da essere indisponibile alla maturazione casalinga prima del decadimento organolettico, cosicché non è assolutamente più possibile sbucciare le pesche come un tempo, con poche semplici mosse, bisogna tagliare via la buccia dalla pesca, brano, brano.

A questo punto vedendo le foto pubblicate sul post un lettore medio non avrebbe che due alternative logiche: smettere di mangiare codeste pesche o giungere alla conclusione che sia inutile lavarsi le mani, stante i risultati simili della pesca lavata e delle mani sporche.

Lidl, hamburger tossiche e Corriere

Qui  il Corriere riferisce, con articolo datato 16 Giugno 2011, che  “«La posizione di Lidl è chiara: per precauzione abbiamo ritirato dalla vendita la carne incriminata e abbiamo proceduto al ritiro dei prodotti con data di scadenza 10, 11 e 12 maggio 2012» allora non ci sono che tre interpretazioni:

1) Il Corriere ci vende come notizie nuove notizie di oltre un mese fa,

2) La Lidl vende aveva sugli scaffali in vendita merce scaduta,

3) Il Corriere e/o la Ldl non si sono accorti che siamo in giugno oppure non sanno la differenza tra data di scadenza e data di produzione.

Spero che a mancare di professionalità sia il Corriere, ma se non fosse così dovrei munirmi di un monocolo da orefice per riuscire a rintracciare le date sulle confezioni e di un manuale per decodificare codeste date di scadenza e di produzione, scritte a volte con codici che si riferiscono alla settimana dell’anno o con abbreviazioni degne della Spectre, oppure incise a caldo in modo che, per leggerle, è necessario porle in posizione tale che la luce sia tangente alle stesse.

Sempre più difficile la vita per i crudisti, ma anche per gli amanti della carne al sangue e delle verdure scottate.

Lanzarote recensione di un’isola.

Una settimana su quest’isola merita certamente di essere passata, se amate le forti emozioni della roccia nuda potete andarci ad esempio in Ottobre, come ho fatto io, il clima era piacevole, anche se ho incontrato una forte perturbazione, che ha fatto disastri a Tenerife e in Spagna, ma ha solo sfiorato Lanzarote, così ho avuto soltanto un cielo a tratti corruscato per qualche giorno e qualche spruzzo di pioggia, anche se il mare faceva paura sulle scogliere esposte a i venti di NordOvest.

Se non siete dei forti ciclisti è meglio noleggiare un’auto, in quanto alcune salite sono piuttosto impegnative e il trasporto pubblico non mi è sembrato frequente e diffuso capillarmente sul territorio, in cambio le strade sono quasi sempre ampie e ben tenute.

Certo che, appena arrivato, uscito dall’autostrada seguendo le indicazioni per San Bartolomè deove avevo prenotato l’albrgo ho visto questo paesaggio:e non sono rimasto entusiasta, sembrava di essere alla estrema periferia di una discarica.

Poi per fortuna  ho visto panorami migliori ma quando sono arrivato all’hotel consigliatomi da un amico:

Di fronte aveva questo giardino pubblico, che da un’altra prospettiva non era meglio:

Mi sono detto: “Ormai ho pagato, entro!” e per fortuna la situazione sembra meglio:

Scusate le giunte si tratta di un collage casalingo, ma il posto sembra suggesitvo, la spianata di roccia nera e terra serviva e forse serve ancora per raccogliere l’acqua piovana che viene raccolta in una cisterna sotterranea, il casottino al centro della foto conteneva un lavatoio e un pozzo.

Si va a vedere le camere: al piano terreno un picolo soggiorno con una scala e un bagno, sopra una spaziosa camera da letto, il tutto sembra abbastanza pulito, il letto è grande e solido (ricordo i lettini a Tenerife all’hotel Coral che erano quelle reti pieghevoli che si tengono in cantina per quando arrivano ospiti inattesi e non graditi) di primo acchito è quello che noto, va bene!

In poco tempo però ci siamo resi conto che la camera aveva gravi handicap:

– la scaletta era ripidissima, alzarsi a pisciare la notte era rischioso, meglio bere poco la sera,

– la finestra, che si apriva dal livello del pavimento fino a 1,6 m, era priva di tende e di persiana, per cui si era completamente esposti alla vista di chi transitava lungo la strada,

– il bagno aveva la finestra completamente bloccata e incrostata di muffa e non c’era un aspiratore,

– la finestra del salottino si poteva aprire solo con grosso sforzo e a rischio di romperla ogni volta e comunque era anch’essa senza tenda né persiana,

insomma questa storia degli hotel de charme comincia a sembrarmi una grande presa per i fondelli, (qualcosa di simile mi era successo in Aprile a Budoni in Sardegna, pizzi e merletti dovunque, tinte pastello mobili in legno, antichi o antichizzati e neppure un balconcino, neppure una poltroncina o una sdraio, o stai a letto o stai fuori) oltretutto di notte ha piovuto e le sedie nel cortile sono tutte zuppe, per soprammercato anche il patio serve solo per fare ombra non tiene la pioggia e anche le sedie al “coperto” sono zuppe.

Ma lasciamo la descrizione del Caserìo de Mozaga e dei suoi malanni a un post specifico e torniamo all’isola nel complesso, essa mostra aspetti estremamente diversificati ci sono zone con grandi alberghi da centinaia di stanze e spiagge con lungomare attrezzato e zone in cui vivono solo i locali con chilometri di bassi scogli che si estendono in profondità per centinaia di metri intervallati da tratti sabbiosi in cui sono costruiti recinti di sassi dentro ai quali stendere gli asciugamani per prendere il sole nonostante il vento, ci sono meraviglie naturalistiche come il Parque Nacional de Tamanfaya perfettamente organizzate e attrezzate, musei e casemuseo, il Monumento al Campesiño e la Fondazione C. Manrique sono tra questi che sono tenuti con attenzione e rigore, dovunque il comfort dei visitatori non è mai dimenticato se non c’è un bar con ristorante è perchè ce ne sono due, se non trovate un bagno è perché siete tra due bagni e sono così ben tenuti che vedendo le insegne avete pensato fossero opere d’arte e basta:

come alla fondazione C. Manrique, oppure come al Jardin de Cactus:

Se intendete trascorrere una settimana in quest’isola affascinante fate il biglietto cumulativo a tutti i musei, a meno che la vostra non sia una vacanza essenzialmente di mare, conviene senz’altro, anche se non visiterete tutto.

Qualche informazione sul cibo:

– se non siete molto tolleranti nei riguardi dell’aglio forse fareste bene a dire, appena seduti a tavola, che siete allergici a tale vegetale, molti piatti ne contengono dosi massicce, alcuni mojo, che sono le salse che portano appena vi sedete e accompagnano gran parte dei piatti, sono praticamente aglio in diversi colori (bianco, con yoghurt, verde, con coriandolo fresco e/o prezzemolo, rosso, con peperoni, qualche volta si trova anche quello verde chiaro che è con avocado, in pratica molto simile al guacamole messicano),

– se siete vegetariani rassegnatevi a una dieta a base di patate (“papas arrugadas”, cioè piccole patate cotte con la buccia in poca acqua e asciugate sul fuoco, sì che si fanno rugose), in una settimana, di diverso da esse sono riuscito a mangiare soltanto un gazpacho di peperoni (in un ristorante di super lusso) e delle melanzane l’ultimo giorno, no mi sbaglio, dimenticavo qualche pomodoro crudo che però aveva sempre un sentore di muffa,

– se siete un po’ schizzinosi non prendete il “caldo millo”, è una buona zuppa di cereali e legumi, con pezzi di carne e molti pezzi di cotenna tagliati grossi,

– non ha controindicazioni invece il “caldo canario” identico a un riso e lenticchie nostrano,

– le patelle invece,

sono solo per appassionati del genere, molto gommose e spesso troppo salate,

– il polpo è spesso il piatto d’elezione tanto per spuntini quanto come piatto forte, sia freddo, sia caldo, in insalata con i peperoni e le cipolle, o cotto con salsa di pomodoro, o infarinato e fritto,

– interessanti sia il capretto sia l’agnello, spesso sono accompagnati da qualche verdura stufata, peperoni e cipolle di solito,

– anche il filetto di manzo mangiato da Stratus, nella valle della Gerìa, era eccellente si scioglieva in bocca, (Stratus è un buon ristorante, se non vi disturba mangiare con la cameriera che vi porta il pane un bocconcino alla volta e il cameriere che vi guarda nel cervello, cercando di cogliere i vostri desideri prima che voi vi accorgiate di averli, ma forse era così perchè eravamo solo sei clienti, utile, se bevete poco la possibilità di avere vari vini al calice, alcuni erano veramente pregevoli),

– la cosa che mi è parsa strana è stato l’orario che vari ristoranti seguivano presentandoci in un ristorante alle 20 ci hanno risposto che la cucina era già chiusa e conoscendo gli orari spagnoli siamo rimasti basiti poi, “aperto dalle 13 alle 17” ho visto scritto in vari posti, una sera proprio a causa di questi orari balzani, ho finito col mangiare biscotti, visto che nelle vicinanze era tutto chiuso, quindi “statev’accuorti”,

– se non conoscete già l’isola di Fuerteventura, almeno una gita giornaliera potete farla, ne vale la pena, naturalmente portatevi l’auto, meglio dirlo subito al momento del noleggio che volete fare tale gita, pagherete un piccolo extra, ma sarete assicurati, altrimenti l’assicurazione vale solo su Lanzarote, potrete fare una passeggiata in un vero deserto tipo Sahara, anche se piccino, ma senza paura di perdervi, poi potrete apprezzare, oltre ai sui bei panorami, anche qui ci sono punti panoramici attrezzati (Mirador), la fortuna che avete avuto a scegliere Lanzarote per la vostra vacanza, invece di Fuerteventura, visto come è spersonalizzata quest’isola dal turismo di massa, dai centri commerciali e dai campi di golf.

Ho centinaia di foto che pubblicherò su Flicr, ma vi suggerisco di scoprire l’isola da soli con curiosità e pazienza, merita!

Pizza Pazza a Milano

Recensione estiva, centrata in particolare sulla pizza alla marinara.

Meglio andarci in prima serata e andarsene in fretta prima che arrivino le zanzare.

Il servizio che abbiamo avuto certo non ha meritato una mancia riguardo alla cordialità, devo dire che anch’io avrei odiato gli snob che preferivano mangiare fuori tra le zanzare, facendomi fare i chilometri, piuttosto che dentro con l’aria condizionata.

Le pizze dimostravano chiaramente che il forno, per cucinarle in fretta, era tenuto a una temperatura troppo alta, infatti avevano tutte un colorito troppo scuro con non poche bolle nere, la mia, una marinara, era proprio bruciata ma me l’hanno sostituita in fretta e senza fare storie.

Ora, come ben sa chi ama la pizza, un forno troppo caldo fa crescere la pizza e la colora, ma non gli dà il tempo di perdere sufficiente umidità, il risultato è che, dopo un attimo che è nel piatto, la pizza diventa molle ed elastica, in particolare se un leggero eccesso di pomodoro la riveste, a scapito della presenza del canonico aglio.

Certo in particolare a Milano ci sono pizzerie che eccedono in senso opposto, fanno una pizza sottilissima e così ben cotta che diventa croccante e biscottata, anche in virtù di una carenza di pomodoro.

ALLA LARGA da questi eccessi, una pizza alla marinara non è una piadina secca con una spennellata di passata, ma nemmeno un vassoio di pasta di pane molle ricoperto di passata.

Il nome del locale si è dunque mostrato in linea con il prodotto.

Pantelleria, suggerimenti per l’uso.

Splendida nel suo complesso, quest’isola ha caratteristiche particolari, che rendono la sua fruizione non facile senza una guida, si potrebbe facilmente restare delusi, se ci si arrivasse avendo aspettativa che essa non può soddisfare, così come la scelta della località e della sistemazione possono fare la differenza tra un soggiorno da dimenticare e uno da conservare nel cuore come prezioso momento dell’anima e dell’emozione, non solo estetica, anche come sogno incantato che potrebbe fare impallidire la maggior parte delle altre vacanze vissute.

Stupiti?

Allora in breve:

-l’isola è vulcanica, raggiunge gli 836 m s.l.m. (il che vuole dire che anche con il peggiore scirocco potete in una mezzoretta di auto andare a fare un pic-nic al fresco in un bosco in cima alla montagna), lunga 12km e larga 9 km ha una strada che ne fa il giro 51 km, meglio non andarci con una grossa auto se non siete più che provetti guidatori, la strada è fiancheggiata di asprissimi muretti a secco,

-paesaggi da inferno dantesco con favare (sorta di soffioni di vapore, a volte solforoso) tra grasse mucche al pascolo, mentre in lontananza si vede l’Africa e volano i gruccioni, si alternano a valli fertili e ben coltivate (dove potrete acquistare dai contadini i tipici prodotti locali, capperi, pomodorini secchi e freschi, origano ecc),

-una grotta, raggiungibile con una breve passeggiata, vi permetterà di fare bagni di vapore anche in inverno,

– il Lago Specchio di Venere, un laghetto solfureo di un impossibile colore cangiante, invece vi consentirà di fare il bagno con qualunque vento, sui bordi, volendo, potrete impiastricciarvi di fanghi solfurei la pelle,

– Il Laghetto delle Ondine, una pozza d’acqua di mare sulla scogliera si riempie con le grandi onde, ci si può fare quattro bracciate fino a che il mare ha forza 5 circa, intorno insenature stupende e macchia mediterranea profumata,

– noleggiare una barca è utile volendo visitare alcune insenature di difficile accesso, ma meglio sarebbe avere una canoa in modo da poterla mettere in acqua sul lato sottovento, giorno per giorno e esplorare ogni giorno un piccolo pezzo, ricordate che Pantelleria era detta l’Isola dei Venti non a caso,

– se trovate un vero dammuso (spessore delle paretida 1,5 a 3 metri, a volte nello spessore del muro di dammusi antichi si è ricavato il bagno!) potrete fare a meno di preoccuoparvi di avere l’aria condizionata, a patto che si tratti di un dammuso esposto al vento, non in pianura, in quanto è proprio l’aria che circola tra le fessure delle pietre delle mura che rinfresca la casa,

– non preoccupatevi che il dammuso sia vicino al mare, tanto, il più delle volte, per fare il bagno senza farvi straziare dalle onde sugli scogli, dovrete prendere l’auto per andare nel lato sottovento,

– non esistono spiagge, per cui, avendo bambini, praticamente si sarà costretti ad andare sempre a fare i fanghi al Lago Specchio di Venere, l’alternativa è fare un abbonamento al pronto soccorso,

– l’isola e impraticabile per gli invalidi, non solo in carrozzina, ma anche per chi si muova con difficoltà, le rocce vulcaniche che costellano l’isola hanno qualche somiglianza con i “campi arati” del Carso per chi ricorda qualcosa della geografia delle superiori,

– l’agglomerato urbano più importante si chiama Pantelleria Centro ci sono il porto e l’aereoporto, se non ne avete necessità potete anche fare a meno di visitarlo, al di là di qualche negozio con le “papaline” colorate che, qualche anno fa, hanno deciso di far diventare tradizionali dell’isola, ci sono dei supermercati e delle buone pasticcerie, ma se ne trovano anche in qualcuno dei centri più piccoli, anche se non tanto facilmente,

– ma una volta che voi abbiate trovate un panettiere e un minimarket dove comprare verdure e specialità locali come capperi, tonno e sgombro, salati e sott’olio, basterà procurarsi olio, sale e pastasciutta per deliziarsi dei profumi dell’isola all’ombra del vostro dammuso,

– ci sono buoni ristoranti, uno in collina, in una bella posizione panoramica (non dimenticatevi di fare restare astemio il guidatore, la strada non è delle più agevoli) tra l’altro propone il caratteristico coniglio (il pesce non rappresenta che una parte minoritaria delle specialità gastronomiche tradizionali, la maggior parte della popolazione prima dell’avvento del turismo era occupata in agricoltura, non nella pesca),

– il vino derivato dall’uva Zibibbo o Moscato di Alessandria detto genericamente Moscato di Pantelleria ha gran rinomanza ed è così classificato:

Moscato di Pantelleria

Moscato di Pantelleria naturalmente dolce

Moscato passito di Pantelleria

Moscato passito di Pantelleria liquoroso

Moscato passito di Pantelleria liquoroso extra

potrete trovare  su Wiki i link utili, personalmente, pur apprezzando assai i vini dolci, lo trovo stucchevole nella maggior parte delle sue declinazioni da parte dei vari produtori che ho assaggiato, una specie di rosolio, ma qualcuno merita una bottiglia, nonostante il prezzo, poi, si sa, dipende dai gusti,

– anche le olive passano per essere una produzione locale, specialmente quelle “cunzate” cioè condite e aromatizzate, ma la grandissima quantità di fusti per olive (quelle specie di barattoloni di plastica marrone) che si trovano in giro per l’isola, con ancora le etichette greche sembrano testimoniare il contrario, ad ogni buon conto alcune di queste olive, insieme con i cetrioli di cappero anch’essi “cunzati” sono di eccellente qualità, profumo, consistenza e sapore, a un tempo deciso e delicato, merita di provarne di diversi tipi (l’insalata di patate lesse, olive, tonno salato, capperi e aglio, non dovete perdervela),

– ovviamente la cosa più importante andando a Pantelleria è portarsi buone scarpe robuste per camminare e arrivare al mare, e solidi scarpini da bagno, per non ferirsi sulle taglienti rocce laviche o, peggio, sui ricci entrando ed uscendo dall’acqua, oltre ovviamente a una maschera con boccaglio, fuori dalla piena stagione anche una muta sarebbe opportuna almeno a 1/2 gamba, i fondali meritano una osservazione prolungata per la loro interessante varietà, dovuta alle differenti rocce dei diversi momenti di formazione dell’isola.

Volendo visitare dei luoghi desolati e tristi, per lasciare l’isola senza troppi rimpianti, per l’ultimo giorno potrete andare nella periferia a ovest del centro (Pantelleria paese) dopo la zona industriale,  costeggiando il mare verso la località di Mursia, vedrete una colata di lava bruno-rossiccia, aspra e senza vegetazione,  che scende al mare da una collina, salitevi in cima, troverete la discarica a cielo aperto con amianto e altre amenità.

Buon viaggio

Hotel Terra di Gallura, Budoni

Un simpatico piccolo hotel con 4 stelle a Budoni, ultimo paese sulla costa verso Sud in provincia di Olbia Tempio, un tempo era il primo a Nord in provincia di Nuoro.
L’hotel è arredato con semplicità e quel gusto vagamente provenzale che da qualche anno si è diffuso in Sardegna, dando origine a degli equivoci sulle capacità degli imbianchini e dei decoratori, visto che è caratterizzato non più solo dal dare sfumature sui bordi delle pareti, come se fossero stinti dal tempo, ma addirittura nel tinteggiare le case con colori vivaci, a chiazze, come se la casa fosse stata tinteggiata in più riprese, da persone diverse che, a spanne, cercassero di riprendere la tinta, ma senza convinzione. Nel caso dell’hotel in questione la cosa è per fortuna limitata alla vecchia moda dello scolorimento.
Nell’hotel si può fare colazione in una bella veranda esposta a Ovest, le brioches sono buone e fresche, c’è una certa varietà di frutta, fresca e cotta, e di biscotti e una semplice torta casalinga, yogurt e cereali, nonché qualche fetta di prosciutto e formaggio, la caffetteria è espressa, ma attenzione! è necessaria una certa attenzione nel muoversi, infatti i tavolini sono imbanditi con tovaglie vittoriane che toccano terra abbondantemente, non è difficile impigliarvi i piedi e rovesciarsi addosso il tutto. Inutile che cominciate a ridere a me non è successo, anche se ci è mancato poco.
Purtroppo non mi risultano camere con balconi, esiste però una piccola veranda con qualche poltrona davanti all’atrio, che è molto spazioso, ma abbastanza inutile, in quanto manca di qualunque cosa possa invitare a fermarcisi, ad es. libri o riviste o cartine della zona, nulla che possa indurre alla socializzazione, un enorme televisore è posto a 1,5 metri da due poltrone lungo un corridoio.
I televisori nelle camere sono di dimensioni ragionevoli e posti in posizione comoda, il bagno della mia camera aveva la finestra ed era spazioso a sufficienza.
La spiaggia è raggiungibile con una passeggiata di 15 minuti che usciti in poco dal paese attraversa una zona acquitrinosa che ospita cavalieri d’Italia, garzette, cormorani e altri uccelli acquatici, si traversa poi una stretta pineta e una striscia di dune sabbiose prima di giungere al mare, i mesi della primavera Aprile e Maggio sono quelli in cui si può godere al meglio del rigoglio della vegetazione, dei profumi e dei colori delle diverse fioriture.
L’hotel è convenzionato con un ristorante dei dintorni che pratica uno sconto, scorrendo il menù abbiamo letto: spaghetti di Gragnano con le arselle, quindi li abbiamo ordinati. Purtroppo, forse a causa di una festa nel salone interno, al cuoco è scappata la cottura, così, nonostante un delicatissimo lonzino con soncino e pecorino fresco, non ci siamo più tornati, anche perchè abbiamo scoperto dove andavano a mangiare gli indigeni: in un ristorante che non si curava neppure di accendere l’insegna, ma era comunque sempre frequentato, ” Su Gustu”, trovatevelo se volete.

Erminia e le tentazioni della carne (Racconto in cinque capitoli)

Capitolo I
Il secondo matrimonio

La festa non era appena cominciata, durava da tre giorni, ma, in fine, quella sarebbe stata l’ultima sera, non ce la faceva più. Oramai si vedeva che, tranne gli ultimi arrivati, erano tutti stanchi.
Così ebbe un momento di pausa e poté guardarsi in giro senza continuare ad annuire e rispondere, farfugliando, nel suo improbabile francese, a domande e apprezzamenti che non capiva.
La mensa faceva quasi il giro del cortile, si interrompeva solo accanto alla piccola fontana che irrigava l’orto della menta, quattro metri quadrati proprio davanti all’ingresso della casa, come un baluardo profumato agli odori della città. La fontana buttava poco, ma l’avevano disposta in modo che l’acqua facesse un rumore di ruscello, nelle cadute tra le due vaschette alte per le abluzioni del viso di uomini e donne e prima di raccogliersi nella vaschetta bassa, per i piedi, per poi disperdersi tra le alte piante di menta.
La casa era una tipica casa da clima caldo, chiusa all’esterno, come un convento, si apriva verso la sua corte interna su due piani, con un porticato per piano, su tutti e quattro i lati, ma era sovrastata da un terrazzo solo sul corpo principale, quello di fronte all’ingresso, dove abitavano i genitori di Wadi, qui da tre giorni, con le anche doloranti, Erminia era seduta a presenziare a questa sua festa di matrimonio.
Quando aveva acconsentito a fare due matrimoni, con due feste, una dai suoi a Zocca, sull’Appennino modenese e una ad Agadir, sulla costa atlantica del Marocco, dai genitori di Wadi, aveva immaginato che sarebbe stato faticoso, ma tre giorni accosciata la stavano mettendo a dura prova.
Stanotte sarebbe finita, l’indomani sarebbero partiti tutti gli invitati, probabilmente i saluti si sarebbero effettuati in piedi, avrebbe voluto chiederlo a Wadi, ma un dubbio, un piccolo dubbio di avere torto, le consigliava di restare nell’incertezza, alimentando così la speranza.
Wadi bello e dolce come il sole d’estate tra i rami di un fico, si volgeva a tutti con attenzione, sorridendo con il cuore a parenti che quasi non conosceva, aprendo la chiostra dei suoi denti, perfetti e splendenti alla luce delle lampade a gas, distribuite lungo la mensa apparecchiata sul lastricato del cortile coperto di tappeti.
Con Wadi non aveva potuto che scambiare poche parole da quando erano arrivati, la macchina della festa era già partita e gli sposi era d’uso che non si ritirassero da soli neppure per dormire, in quei tre giorni.
Averlo così vicino, eppure così lontano da una vera intimità era un supplizio.
Chissà? A casa, in Italia, non passava giorno che non facessero l’amore almeno ogni sera, appena si vedevano, poi spesso più tardi, qui da tre giorni non era stato possibile, si immaginò che avesse i testicoli gonfi e si accorse che solo pensandoci si era bagnata. Quale alchimia di sensi si scatenava tra loro? Chissà che potenza di energia orgonica si sarebbe potuto ricavare dai loro amplessi, si ritrovò a sorridere tra sé e accorgendosene cominciò a ridere, si ricordò che Wadi gli aveva raccomandato un contegno riservato, ma cominciò a tremargli la pancia per lo sforzo di soffocare il riso. Wadi colse il suo sguardo d’aiuto e le andò vicino aiutandola ad alzarsi, poi l’accompagnò in un bagno del piano superiore ed entrò con lei.
Finalmente soli, furono a lungo sciolti nelle braccia l’uno dell’altra, sordi e muti.
Un bussare leggero e una voce di bambino li riportarono al qui e ora, solo allora si baciarono.
– Coraggio amore è quasi finita, domani saremo in albergo sull’Atlante, al fresco delle cime, da soli.
Uscirono e fecero due passi intorno alla casa, Erminia sentiva le anche dolenti e credeva che i legamenti ormai fossero compromessi, sentiva di ancheggiare più del solito, le sembrava di essere più alta, possibile che tre giorni seduta facessero questo effetto?
– Amore mio, non hai visto che di fianco a mio padre c’erano due amici suoi che si sono passati un narghilè per tutta la serata? Non era fumo di tabacco quello che tirava dalla tua parte nella brezza della sera. – Ridendo dolcemente la rassicurò Wadi, – Non è successo niente stai tranquilla, le tue percezioni sono solo un poco diverse dal solito, ma ci sono io con te.
Come era facile sentirsi a posto, al suo fianco, dovunque.

Capitolo II
Il viaggio di nozze

Le passeggiate, in quella specie di Svizzera africana, le facevano sentire il suo corpo sereno e potente.
Dopo l’arsura delle pianure, dopo le colline seccate dall’estate e i loro colori prosciugati dal vento, ecco il verde dei pascoli e dei boschi d’alta quota, l’aria tersa del mattino permetteva di spaziare fino a orizzonti impensabili.
Cosa poteva immaginare di meglio? Provò a chiederselo nei pochi momenti in cui era sola e non ebbe nessuna risposta. Così ebbe paura, paura che tutto finisse, che non si trattasse che di un sogno, ma appena Wadi tornava con il suo respiro breve e affrettato, dall’hammam dell’albergo, avendo fatto le scale di corsa, si sentiva di essere l’aria che lo nutriva, e si lasciava andare, tra le sue braccia forti, come alla corrente di un fiume.
Conversare tra loro era come doppiare un film appassionante, le sembrava di essere diventata più intelligente, più spiritosa, i loro dialoghi erano pregni di significati profondi, eppure con la leggerezza del disincanto incarnato nella saggezza di un amore senza tempo.
Aveva imparato a conoscersi più a fondo di quanto non le fosse mai successo, aveva tanto cercato con Fabio il suo punto G, eppure era lì, dove probabilmente era sempre stato, in attesa della sua mano gentile.
Aveva imparato a titillargli la prostata, per farlo arrivare all’orgasmo quando oramai sembrava non ci fosse più niente da fare, dopo tutta una notte d’amore.
Aveva rasentato il delirio quando lui le si era negato, dopo ore di preliminari, perché era mestruata, l’aveva implorato di prenderle il culo e aveva voluto prenderlo più a fondo che mai, si sarebbe aperta come un’ostrica per lui e aveva avuto un orgasmo anche così. Sconvolgente.
Le due settimane furono tanto infinitamente piene di fuggevoli attimi preziosi da volare, apprezzarono la lunga attesa della cena, quando, inaspettata, era giunta una parte del seguito di un ministro e aveva reclamato la priorità nel servizio, e la fugacità della picchiata di un falco su un piccolo qualcosa in una radura.

Capitolo III
La vita in comune

Le piccole contrarietà del quotidiano si stemperavano nelle reciproche attenzioni, e niente sembrava turbare la loro armonia, si faceva strada in entrambi l’idea che avrebbero potuto avere un figlio.
Erminia aveva già cominciato a prendere l’acido folico, per prevenire la spina bifida, in un eventuale feto che volesse annidarsi nel suo utero sereno.
Ma, una domenica mattina, andarono a un “brunch” con i colleghi di lavoro di Wadi, e lì cadde un seme di scontento.
Davanti alle uova fritte con pancetta, Erminia ebbe uno scompenso, si sentì mancare per un istante, mentre Wadi proseguiva con il suo vassoio fino alle costine d’agnello, lei ebbe la sensazione che il suo stomaco si ribellasse, che volesse trattenerla, chiuse gli occhi un momento e aspirò il profumo della pancetta affumicata.
Non disse nulla e si limitò a un cappuccino liscio, ma fece fatica a fare accettare allo stomaco quel sostituto.
La compagnia era brillante e altre volte lei aveva goduto di quel clima scanzonato che i colleghi di Wadi, ingegneri e geologi di una società di prospezioni petrolifere, instauravano così facilmente, quel giorno restò un poco in disparte.
Tornando a casa lui le chiese se non stesse bene. – Hai qualche novità per me amore? – Le chiese, visto che non aveva mangiato niente. Lei, stranita, non capì, solo alla sua occhiata eloquente al suo ventre interpretò la domanda come lui si aspettava e laconica:- No niente, lo saprei, solo un po’ di imbarazzo, avrò qualche linea di febbre.
Quella sera fu la prima volta da quando vivevano insieme che non fecero l’amore, lei si nascose dietro il suo malessere e la sera, dopo una cena leggera, andò a dormire presto.
Alle tre del mattino si svegliò da un sogno con l’urgenza di fare pipì, mentre, seduta, aspettava l’ultima goccia, le tornò in mente il sogno, era alla gita scolastica di quinta superiore, nella Foresta Nera e la colazione era un tripudio di salumi, ricordava perfettamente quella tavola, il pane di segale caldo con le fettine di prosciutto alla brace, i meraner wurst, il prosciutto affumicato… Si accorse che stava di nuovo sognando, seduta sul water, solo perché la saliva le era caduta sulle ginocchia.

Capitolo IV
L’illuminazione

Qualche giorno dopo, Wadi tornò da una “convention” a Sondrio con un “violino” di capra, era tutto contento e senza aspettare neppure di cambiarsi cominciò ad affettarlo.
Fu l’inizio della fine, forse la somiglianza del violino di capra, ispido di pelo scuro, con il prosciutto di cinghiale, le fece scattare qualcosa, qualcosa di ancestrale, forse aveva ragione quel poeta del Dio Maiale, i sogni di quella notte furono tutte le portate di un cenone di Capodanno, completamente a base di maiale!
Il mattino si alzò prima di Wadi e corse a farsi una doccia, aveva l’impressione che lui potesse sentire l’odore di carne impura di cui per buona parte della notte si era nutrita, ma questa fu una riflessione che ebbe dopo, mentre l’acqua le scorreva addosso, sul momento, appena alzata, aveva solo avuto una sensazione di sporcizia sulla pelle.
Si strofinò a lungo tutto il corpo con la spugna vegetale, la schiena con la striscia di canapa a due mani e, sbattendo i gomiti contro le pareti della doccia, rimpianse la spazzola di setola che usava prima di conoscere Wadi e, di nuovo, si sentì in colpa, le sembrava di tradirlo.
Quando a tavola per la colazione, però, vide il caffelatte e le fette biscottate con burro e marmellata, ebbe un moto di stizza, le tornò in mente il “brunch” e quelle uova fritte, bianche, ma appena rapprese, nel cui tuorlo gli altri immergevano i crostini e la pancetta croccante che piegavano con cura, con forchetta e coltello, prima di portarla alla bocca con gusto evidente. Anche lei aveva partecipato a quel piacere anche solo guardando.
La colazione fu pesante, lei rispondeva a monosillabi e Wadi, stupito, chiedeva cosa non andasse, se aveva dormito, se aveva mal di testa…
Finalmente lui uscì e lei telefonò in ufficio che avrebbe tardato, perché la lavatrice le aveva allagato la casa.
Per distendere un poco la tensione fece un giro di ripasso alla casa, sprimacciò il divano e disfò il letto, cercando in quei gesti di ritrovare il senso della quotidianità, dell’appartenenza alla sua realtà.
Aveva sempre pensato di essere una persona razionale, passionale, ma razionale. Eppure questa storia del Maiale le stava sfuggendo di mano, possibile che al solo nominarlo avesse l’acquolina in bocca?
Insomma bisognava esorcizzarlo si disse, si sarebbe comperata un cacciatore di cavallo e se lo sarebbe mangiato interamente da sola, adesso.
Si vestì in fretta come non mai, il trucco non fu che un’ombra sugli occhi, sfumata con le dita in ascensore.
Alle otto e trenta era davanti alla saracinesca che saliva, alle otto e quarantacinque era a casa ad affettare il salame, con il francesino spalancato, pronto ad accogliere le piccole fette, si accorse che le tremavano le mani e si sedette. Un bicchiere d’acqua? No meglio un chinotto. Ne bevve un intero bicchiere a piccoli sorsi, ma lo sguardo continuava a fuggire al salame sul tagliere, finalmente riuscì a calmare la sua ansia e lo tagliò a fette spesse, aveva piccoli lardelli bianchi sparsi che facevano un forte contrasto con la carne scura.
Aveva scelto il cacciatore di cavallo perché così le sembrava di tradire meno Wadi, cercò di dimenticare che sapeva benissimo che i lardelli bianchi erano di maiale, e invece erano proprio loro, sciogliendosi sulla lingua a darle più piacere. Sì, era un buon salame, ma si sentiva che era di cavallo, la carne un poco dolce, era più secca intorno alla fetta e quasi fresca nel mezzo, era una cosa diversa da quello che aveva sognato. Aveva sbagliato! Per esorcizzare il Dio Maiale avrebbe dovuto prendere un salame di Puro Suino o coppa o prosciutto o culatello.
In pochi minuti era di nuovo in strada, entrò nel supermercato e al bancone della salumeria prese un etto di tutti i salumi di maiale su cui le caddero gli occhi.
Tornò a casa, però, in preda a una agitazione confusa, pensava a Wadi, pensava ai loro progetti di avere in figlio, pensava alle sue sensazioni di quei giorni, pensava ad Allah, per lo meno a come glielo aveva rappresentato Wadi, che, pur non essendo praticante, obbediva ai precetti di astensione dall’alcool e dal maiale, pensava al Dio dei suoi genitori, quello cristiano, cattolico, apostolico, romano e al digiuno quaresimale, ah ecco perché non c’era coda in salumeria, erano tutti alla pescheria, era venerdì di Pasqua!
La cosa la rasserenò, il suo non era uno sgarbo ad Allah, ma, democraticamente, anche al Dio cristiano, Wadi non aveva da prendersela, da quel momento il suo Dio sarebbe stato il Maiale, la prendessero un po’ in saccoccia tutti gli altri. La pervase una sensazione di pace che la accompagnò fino in casa, aprì con calma ogni involto e da ciascuno prese una fettina, ogni fettina con un pezzetto di pane mangiò con gusto, percepì il sacrificio del Maiale e quello del Grano, quello del Lievito e quello del Sale, sentì che tutti loro vivevano in lei.
Andò in ufficio con una serenità, nello sguardo e nel cuore, che le sembrava di non avere mai avuto, aveva riposto con cura i salumi nel frigo e si era fermata al bar a farsi un calice di rosso, alle dieci del mattino il barista l’aveva guardata stupito e aveva aperto una bottiglia di Raboso, lei ne aveva apprezzato il carattere robusto e sanguigno, aspro e dolce e si era avviata al metrò sorridente e leggera.

Capitolo V
I riflessi cangianti della seta

Quella sera tornando dall’ufficio Erminia si era fermata in una enoteca a aveva preso una bottiglia di refosco dal peduncolo rosso, raboso non ne aveva trovato, non aveva ascoltato molto della disquisizione dell’addetto, aveva colto però che quello era il vino che più gli somigliava.
Aprendo la porta, con solo due mandate, aveva capito che Wadi era già rientrato e le era andata incontro allegra. Lui era davanti al frigorifero con in mano un cartoccio di coppa aperto e l’aria schifata. Lei entrando aveva posato la bottiglia sul mobiletto e sorridendo gli aveva preso il cartoccio dicendogli:- Non è per te amore, l’ho preso per me.
In quel momento lui vide la bottiglia di vino e il suo sguardo si fece cupo. La guardò con disprezzo e andò in sala.
Erminia aveva dalla sua la consapevolezza di essere nel giusto, prese una fettina di coppa con due dita e se la calò in bocca dall’alto, aprì la bottiglia di vino e se ne versò un bicchiere. Poi si preparò un panino con il prosciutto di Praga e un velo di senape, e si mise a mangiare con gusto.
Wadi doveva essere perplesso, pensò Erminia, lei, appena aveva colto la sua contrarietà alla vista di maiale e alcolici, li aveva banditi dalla casa e dalla vita, ma ora era tempo di cambiare se voleva, e, se non voleva, bene! Non era certo il caso di farci un figlio! Bisognava affrontare la cosa, subito.
Entrò in sala con un vassoietto con il panino e il bicchiere, sorridendo, e gli disse che nessuno lo avrebbe obbligato a mangiare maiale e a bere vino, ma che nessuno avrebbe impedito a lei di farlo e se avessero avuto un figlio avrebbe mangiato ciò che avesse voluto, senza divieti ideologici o religiosi.
Wadi era sorpreso da questa sua presa di posizione, lei non aveva mai manifestato disagio di sorta per quelle rinunce, tanto che lui aveva pensato fosse qualcosa di naturale; nonostante le prove contrarie, nei ristoranti e a casa d’altri, si era trovato a pensare che, forse, non tutti gli italiani bevevano alcolici e mangiavano maiale, non si era fermato a riflettere più che tanto sulla cosa, aveva accettato la cosa come naturale.
Erminia lo guardava, serena, vedeva nei suoi occhi uno smarrimento che le fece male, ma diede un morso al panino con convinzione, lo vide rabbrividire, poi con un sorso di vino deglutì il bolo gustoso, sentì il tannino leggero sul palato e prese un altro sorso, per sgombrare la bocca e gustare più pienamente, vide in quel momento che lui le leggeva negli occhi il piacere ed era geloso.
Si avvicinò a lui e le prese la mano, se la portò alle labbra e la baciò, se la fece scorrere sul viso e con essa si carezzò, sentì la sua rigidezza e gli si accostò, lui rimase inerte, confuso; lei rimase al suo fianco per un tempo infinito, credeva di sentire i sentimenti di Wadi combattere tra loro, le sue abitudini scontrarsi con la sua logica disincantata e prese l’iniziativa, lo baciò, con le labbra che ancora sapevano di vino. Lui fermò il respiro in un rifiuto, poi si lasciò andare e respirò quei profumi di frutti di bosco, stupito socchiuse le labbra e assaporò quel che di aspro e di tannino era ancora sulle labbra di lei e la baciò.
Non fu facile per loro rispettare e capire quel che fino allora avevano ignorato, seppellito, ma, come la trama e l’ordito della seta, diversi e contrastanti, danno riflessi cangianti e preziosi, così loro, accettandosi per intero, divennero più della somma delle loro parti, più di quel che, pur bello, erano stati.

Milano10 Aprile 2009

Menù d’amore

Menù d’amore

di

Bernardo d’Aleppo

Tutti i diritti sono riservati

Copyright Bernardo d’Aleppo

Milano Marzo 2008


Antipasto: La serenità di Pantelleria

Sopra un terrazzo,

dei mille che a Martingana fanno scala al Libeccio,

sta una vigna antica, pure di piccole viti,

quando i chicchi sono capezzoli duri d’amore e vizzi,

ne cavo un mosto che cuocendo restringo,

indi semi pestati di senape bianca

e aceto di marsala ancora, poco, vi faccio sobbollire,

correggo di sale e spengo.

Quando tu mi dai pensieri anti del pasto,

sul crostino ti pongo: lardo salato e questa senape dolce,

tu non lo sai, ma penso a quei capezzoli di vite,

che ho avuto per le mani e ho stretti,

mentre quel miele acre mi sale le nari e il lardo si scioglie,

colgo l’agro, ma poi mi resta il dolce,

così, rasserenato, anche i tuoi umori quieto.


Primo: L’Inganno

Sbucciate le patate bollenti

Le passo e aspetto

Il tempo che dallo sfiorarti

Si passi al bacio e oltre,

Che da una carezza sul collo

Si scenda al fianco,

Si salga alla nuca,

Ci si perda tra i capelli,

Quando gli umori scesi

Si sono ormai rappresi,

E’ tempo di cominciare ancora,

Poi quando la tenerezza

Di nuovo nell’oblio sconfina

E il primo stordimento

Già svapora, ci giungo la farina

E ben la impasto,

Che tenera si fa con la purea

Questa massa tenerosa

Quanto mi aggrada,

Come il tuo sen mi cede

Quando ti prendo a pecora

E ti piloto attento tra i dirupi,

Qui franare può l’orgasmo mio,

Là forse potrebbe il tuo,

Così quando lo gnocco

Cede alla lingua sul palato,

Ripenso al nostro sesso

E se burro e tartufo

L’hanno accompagnato

Basta chiudere gli occhi

E quasi il membro cade nell’inganno.


Secondo: Il brasato

Stretto al petto l’involto, sobbalzavo,

nell’autobus, passando i dissuasori,

altri intorno a me stanchi tornavano,

Alle pantofole! imploravano gli sguardi.

Io ripassavo gli ingredienti e se li avevo,

ma il fuso elastico e sodo mi pesava,

lo poggiai al fianco e mi confusi,

la tua natica salda mi parve di toccare

e lo riposi al petto, dunque, ripresi:

per questo brasato, rivisitato alla pugliese,

ecco il guanciale, di castrato da lavoro,

le spezie c’eran tutte, anche gli aromi,

il Primitivo in luogo del Barolo…

ma, ecco il cavallo veniva dalla Puglia,

ma dall’enorme testa sembrava …

sì uno di quei giganti del Brabante,

forse meglio sarebbe una birra delle parti sue

una di quelle di lieviti selvatici o dolce…

Intanto mi era sceso l’involto al fianco

e di nuovo ero turbato da quel sentire

la tua natica soda e tenera e gommosa…

Basta! Or mi concentro e sento gli aromi

di questo brasato “in fieri”, no non ancora:

solo in programma. Eppur ecco li sento:

il garofano e la buccia dell’arancio amaro,

il ginepro e la salvia del Gargano

un pizzico di zenzero e del sedano,

carote, cipolle, scalogno e lampascione

poco prezzemolo e l’erba cipollina,

aglio ursino, una grattata d’iris (il rizoma).

No questo non c’entra, è l tuo profumo

che sempre ho nella testa e mi confonde,

ma seppure dovesse andare male,

se questo brasato dovesse mai bruciare

sarà con te una festa cenare a pane e olive

olive e pane.


Contorno: L’arcobaleno

Voglio mettere allegria su questa tavola,

vederti le rughe del sorriso

scavarsi intorno agli occhi,

così ti faccio un’insalata

di gambi di sedano e finocchi,

di carote e di sedano rapa,

di gambi di prezzemolo e lamponi,

di pomodorini secchi, pochi,

di rapanelli e di limoni dolci,

di fiori di borragine e acetosa.

Dopo lo so sarai ritrosa,

terrai la bocca chiusa, tesa,

avrai paura di mostrare cosa?

Il sorriso guarnito di colori?

Ma: Quitame el pan si quieres

quitame el aire, pero no me quites tu risa.

Tanto implorava Neruda, così fò io.


Formaggio: Crema da grissino

Voglio copiare il colore

dei tuoi capezzoli rosa,

ma, essi rosa non sono,

davvero allor mi cimento

acconcio un fondo, la biacca

sarà ricotta, non grassa,

quella, un po’ granulosa,

yoghurt, per stenderla bene,

paprica dolce e piccante,

diversi i toni di rosa,

un poco di zafferano,

cumino in polvere, ora,

poi lavoro, a cucchiaio,

ecco il color mi sovviene,

l’assaggio, manca di sale

confronto l’originale,

aggiungo e aggiusto di poco,

mi pongo ancora al confronto

non son soddisfatto, cos’è?

E’ un’ombra, un afrore

sottile, che dalle ascelle

travalica il deodorante,

non mi azzardo, a dir che sia.

Ne taglio appena un filetto

colo di linfa una stilla.

Ecco l’inganno è completo.

Torneremo bimbi al seno.

Milano 3 e 4 marzo 2008